Imperia, IT
-- °C
-- %
Strumenti

Una volta li facevano così...

di Marino Parodi
5 maggio 2025 - 23:07

Nel panorama sempre più rapido dell'innovazione tecnologica, è facile che alcuni strumenti, una volta considerati all'avanguardia, vengano dimenticati, lasciando nel vuoto intere pagine di memoria tecnica. Tra questi non si può fare a meno di considerare i sensori di umidità e temperatura Siap un tempo collegati alla centralina DCP (Data Collection Plataform). Storicamente collocati a metà degli anni '80, questi dispositivi rischiano di cadere nell'oblio per un paradosso: sono troppo recenti per essere considerati pezzi da museo, ma obsoleti per qualsiasi apparato moderno. Inoltre, non godono certo del fascino degli strumenti a rullo di carta e pennino anni 70, né dell’immediatezza di utilizzo. Il loro elevato costo e l'impossibilità di funzionare in modo autonomo, senza essere collegati alla DCP, sono tra i motivi principali per cui questi dispositivi sono stati rapidamente accantonati, nonostante rappresentino alcuni dei primi esempi di sensoristica elettronica, prodotta, peraltro, in Italia. Desidero dedicare alcune righe alla riscoperta di questi prodotti, che in passato rappresentavano una significativa innovazione. Invito comunque chi abbia memoria o esperienza diretta con questi dispositivi a condividere le proprie conoscenze, contribuendo a conservare anche questa piccola eredità storica.

I sensori "intelligenti"


I sensori conservati presso l'Osservatorio sono i modelli Siap TM9820 per la misurazione della temperatura e  UM9830 per la misurazione dell'umidità. Sono dispositivi definiti "intelligenti", in quanto al loro interno presentano un'elettronica programmabile che consente la comunicazione in rete con la DCP Siap mediante un unico cavo. In pratica l'idea era la riduzione del numero di conduttori dando la possibilità a sensori di diversa natura di essere collegati in parallelo, analogamente a come funziona una moderna rete canbus, questo intorno al 1986. La DCP interrogava con uno specifico messaggio ogni sensore in modalità asincrona e acquisiva sequenzialmente la risposta. Il sensore esegue già direttamente le prime elaborazioni necessarie (medie, massimi e minimi) e permette una proceduta di autocalibrazione.

Sensori intelligenti: schema a blocchi di un generico sensore

 

Rimuoviamo la pagoda

Una volta rimossa la tipica schermatura a pagoda, i sensori si presentano come cilindri in alluminio con un diametro di circa 35 mm e una lunghezza di circa 300mm.

Sensori TM9820 a sinistra e UM9830 a destra.

Entrambi i modelli condividono un design molto simile e si distinguono esclusivamente per la forma della sommità superiore: il sensore di temperatura è dotato di un tubetto forato, mentre quello di umidità presenta un tappo filettato in ottone.

Il sensore di umidità privo della chiusura in metallo traspirante

Nella parte inferiore di entrambi è presente un connettore Amphenol a 4 poli con attacco a baionetta (identico per ambedue), mentre il sensore vero e proprio si trova nella parte superiore.

Connettori a baionetta nella parte inferiore

L'apertura del sensore è piuttosto agevole in quanto la chiusura superiore ed inferiore si svitano come il coperchio di un barattolo.

TM9820: in evidenza la PT100 all'interno del tubetto di vetro.

L' HD63701

E' cosi possibile accedere alla scheda, molto densa di componenti. L'interno riserva una sorpresa, poiché l'elettronica adottata risulta piuttosto inconsueta. Il cuore del sistema è il microcontrollore HD63701, un chip a 8 bit prodotto da Hitachi negli anni '80.

HD 63701, schema a blocchi

Questo microcontrollore si basa sull'architettura MOS 6800, compatibile con l'MC6801 di Motorola, ma con alcune funzionalità avanzate. Integra RAM, ROM, porte I/O, timer e una seriale asincrona, riducendo la necessità di componenti esterni. Per l'epoca era una cosa all'avanguardia, diciamo che è evidente che il costo fosse un aspetto secondario.

UM9830: scheda elettronica del sensore di umidità

Tutti i componenti sono ovviamente a foro passante. Curioso notare il grande quarzo a 614 Khz con frequenza altrettanto curiosa. 

UM9830 vs TM9820

Passando alle differenze tra i due modelli, iniziamo con l'UM9830, il sensore di umidità. L'elemento sensibile non presenta sigle identificative, ma sembra essere un classico sensore capacitivo a due terminali. La presenza di trimmer e resistenze di precisione e la mancanza di qualsiasi convertitore analogico integrato conferma che la conversione del segnale avviene attraverso stadi oscillatori, i quali regolano circuiti di temporizzazione in base alla variazione della capacità del sensore. Questo rafforza l'ipotesi che la misura dell'umidità venga acquisita tramite la variazione della frequenza di oscillazione del circuito.

Il sensore di umidità relativa capacitivo è composto da un materiale dielettrico igroscopico situato tra due elettrodi montati su una piastrina, in modo da formare un piccolo condensatore. L’equilibrio igrometrico tra il materiale isolante e l’ambiente modifica la permittività relativa del materiale dielettrico. Quando la quantità di vapore acqueo nell’aria aumenta, la costante dielettrica del sensore cresce, producendo una misura differente della capacità, che corrisponde al livello di umidità relativa. Questo dispositivo è sensibile all’umidità relativa perché è in equilibrio termico con l’ambiente da caratterizzare. Inoltre, le caratteristiche elettriche del sensore fanno sì che l’energia scambiata con l’ambiente per riscaldamento sia trascurabile.

Il TM9820, il sensore di temperatura, è sostanzialmente identico ma si differenzia per il grande circuito ibrido rivestito di resina color crema. Il sensore, all'interno di un tubetto di vetro, è probabilmente una sonda PT100, che necessita di un amplificatore aggiuntivo rispetto al sensore di umidità.

Sensore TM9820: in evidenza il modulo ibrido resinato

Un aspetto curioso è l'assenza di un ADC (convertitore analogico-digitale), il che suggerisce che la misura venga gestita con tecniche alternative, come la temporizzazione o la conversione indiretta del segnale. La presenza di integrati come il CD4060 indica che la grandezza fisica viene acquisita in frequenza. In assenza di un ADC, il sistema probabilmente utilizza un metodo basato sulla misura del numero di impulsi in un determinato intervallo di tempo, funzionando di fatto come un frequenzimetro. Questo approccio consente di convertire la variabile fisica in una frequenza proporzionale, semplificando l'elettronica di acquisizione e riducendo la necessità di componenti analogici complessi.

Sensore TM9820: in evidenza il microcontrollore HD63701 e il quarzo

Purtroppo non abbiamo la possibilità di interrogare i sensori, non essendo a conoscenza del protocollo che gestisce la chiamata del sensore specifico, nè tantomeno saremmo in grado di decodificare cosa trasmette. Chissà se funzionano ancora, magari un giorno troveremo un modo di poterli testare. 

Conclusioni

In conclusione, smontare questi sensori meteo degli anni ’80 è stato come aprire una finestra su un’epoca in cui l’elettronica era ancora in gran parte analogica, solida, e costruita per durare. Ogni componente, dai circuiti stampati alle chiusure metalliche, racconta una storia di ingegneria precisa e funzionale, frutto di un'epoca in cui non esisteva il concetto di obsolescenza.
Osservare come fossero progettati e assemblati ci ricorda quanto sia cambiata la tecnologia, ma anche quanta cura veniva posta nei dettagli. Un piccolo tuffo nel passato che ci aiuta a capire meglio il presente — e forse ad apprezzarlo di più.

 

 



Altri articoli interessanti